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Posts Tagged ‘fetish’

Piacere Dolore Potere – reprise

17 Gennaio 2008 27 commenti

Ricordo un’introvabile intervista fatta a Edoardo Sanguineti in cui gli veniva chiesta un’opinione rispetto alla pornografia. Rispose qualcosa come “sì, la pornografia e il femminismo, due grandi conquiste… ma alla fine bisogna sempre ragionare in termini di lotta di classe”.
Partiamo da qui e da un capitolo (il XX, “Un affare di ricchi?”) fin troppo sbrigativo, del libro di Traimond. Si parla in esso di uno studio del 1995 condotto dal sociologo Thomas Weinberg e intitolato “Studies in Dominance & Submission” in cui di tenta di affrontare un’analisi sulla classe di provenienza dei sadomasochisti praticanti. Come giustamente nota Traimond, la cosa è piuttosto difficile da rilevare vista la riservatezza di chi usa la frusta e di chi si fa frustare, essendo una situazione ancora underground. D’accordo con Weinberg, comunque, dedicarsi all’SM richiede sicuramente tempo e si sa cosa significhi questo in una “società amministrata” come la nostra. Credendo ci fosse del vero ho condotto una mia a-scientifica indagine all’interno di una comunità SM online.

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animali da compagnia

16 Gennaio 2008 1 commento

Esistono due generi d’amore: quello di una madre per il figlio e quello di un Padrone per il suo animale“.
L’enunciato-manifesto è il sunto del film The Pet. Si può scaricare con un po’ di pazienza da rete peer to peer. Narra dell’incontro tra un ricco buzzurro del Liechtenstein e una giovane fioraia remissiva. Lui ha perso l’amato cane, lei l’amato gatto. Lui è di indole autoritaria, lei tende alla sottomissione. Lui le fa la sfacciatissima proposta di prendere il posto del suo cane, lei accetta per prova e poi, anche per denaro, protrarrà l’esperienza canina. Il film non è porno, sebbene girato con la povertà (recitativa) di un porno. Nulla ruota attorno al sesso. Piuttosto attorno ai ruoli, alla teatralità. Simmetricamente accettati. L’idea, diciamo, è buona e interessante, poi purtroppo scade nel pretenzioso e mal architettato, quando, per sottolineare l’innocenza di un contratto reciprocamente accettato e condiviso si mette in gioco il lato oscuro, e quindi opposto, di quel mondo: il commercio e la schiavizzazione di uomini e donne per scopi sessuali. Lo scopo era contrapporre consensualità e coercizione. Tematica pretenziosa quindi. Forse si doveva rimanere nel magico mondo del gioco di ruolo in cui una persona accetta di essere trattata ed amata come un animale da compagnia e mostrare che “altre relazioni interpersonali sono possibili”…

–> belle illustrazioni a tema

–> pet girls, immagini fetish patinate

–> blog di ms.pet

–> pony girls club

–> links vari

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Piacere Dolore Potere

18 Dicembre 2007 39 commenti

Il libro, di Jean-Manuel Traimond, Eleuthera, mi è stato regalato. Lo ammetto, ho sempre dei pregiudizi nei confronti di libri con copertine fetish/glam/sm. L’ho visto, me ne hanno parlato bene, ma non l’ho mai preso. Sbagliavo. Ne vale la pena.
E’ un testo ben scritto, veloce, scorrevole, non cade nelle banalità eziologiche di quasi tutti gli altri testi a tema, non fa, ad esempio, tutto il giro dal marchese de Sade passando dal compagno di merende Sacher-Masoch e, soprattutto, affronta il tema del sadomasochismo-organizzato dal punto di vista libertario.
E’ un pamphlet utile ad intaccare il nodo della violenza, violenza contrattata e del potere organizzato (aggettivo ricorrente) che negli ambienti della sinistra (radicale e non) è ancora considerato tabù, facendo dei centri sociali in genere, dei monasteri per alternativ* e reiett* vari.
Jean-Manuel Traimond, anarchico francese che ha passato alcuni anni della sua vita a Christiania, ha una semplice e assai condivisibile tesi: un potere contrattato e organizzato, con tutti i rapporti interpersonali che ne possono conseguire, è qualcosa di assolutamente liberatorio rispetto alla costrizione di un potere sociale non organizzato dal basso e non da tutt* condiviso. "L’azione concertata, negoziata, simmetricamente soddisfacente piuttosto che lo sfruttamento asimmetrico e subìto" (p.15). Organizzare il rapporto sadico-masochista all’interno di una scena concordata (nel senso teatrale del termine) è esercitare una forma di potere biunivoca e da entrambe le parti riconosciuta e richiesta, in qualche modo un superamento del potere stesso. Era un po’ il senso del silenzioso post precedente, fatto provocatoriamente nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Nulla di tutto questo accade nella società del capitalismo avanzato che anzi ingloba (si direbbe sussume, se non si rischiasse l’accusa di intellettualismo) la violenza in forme traumatiche per gli individui. I sadici e i masochisti, nel senso più negativo della comune accezione, sono i militari, le polizie, i governanti, i capi. Per loro c’è sempre uno spazio d’esercizio ben retribuito, e chi ne fa le spese diventa puramente vittima. "Il rifiuto di far uscire il sadomasochismo dalla clandestinità continuerà ad infoltire i ranghi di militari, poliziotti, carcerieri e via dicendo" (p.162). Liberarsi significa svincolare, prendere coscienza del proprio ruolo all’interno dello scambio di potere e crearne una scena concordata e cosciente in cui Padrone e servo scelgano liberamente la propria posizione.
In Piacere Dolore Potere ci sono interessanti e importanti digressioni sulla fisiologia del dolore con i giusti riferimenti a Damasio e Dennett, autori conosciuti nel campo delle scienze cognitive. Il libro si dilunga un po’ eccessivamente sulle modalità dell’organizzazione delle scene sm, e va bene, è utile alla comprensione, ma lo fa a scapito della analisi del sadomasochismo sociale; sicuramente la parte più interessante. L’autore inciampa sul dettaglio e i motivi del sadomasochismo nipponico (che non può essere considerato nell’orbita occidentale) e spende troppo poche parole sulle forme di sadomasochismo tribale, sull’autolesionismo e su quella stupenda patologia di massa che affligge il popolo ebraico (unico, tra i popoli, eletto di fronte a dio e perseguitato dall’uomo). Jean-Manuel Traimond regala però un bellissimo capitolo sulla religione ("L’Antico Testamento rappresenta il sadismo di Dio contro il masochismo dell’uomo, il Nuovo Testamento il sadismo dell’uomo contro il masochismo di Dio!" p.150), che adeguatamente ampliato varrebbe una ricerca a parte, con citazioni di questo tenore, parla Marguerite-Marie Alacocque, iniziatrice della venerazione del Sacro Cuore:


Ero così delicata che la minima sporcizia mi faceva battere il cuore. [Gesù] mi riprese così fortemente su questo punto che una volta, volendo pulire il vomito di una malata, non potei trattenermi dal farlo con la lingua. Gesù mi fece provare tante delizie in questa azione che avrei voluto avere l’occasione di farne di simili tutti i giorni. Per ricompensarmi, la notte seguente mi tenne due o tre ore con la bocca incollata sul suo Sacro Cuore.*


* originariamente citato in Jean-Noel Vuarnet, Extases fèminines, Hatier, Paris, 1991

macroginofilia

19 Novembre 2007 10 commenti

“Al tempo che la Natura nella sua possente energia,
concepiva ogni giorno figli mostruosi,
avrei voluto vivere vicino a una giovane gigantessa,
come un gatto voluttuoso s’accuccia ai piedi d’una regina.

Avrei voluto contemplare il suo corpo fiorire con la sua anima
e crescere liberamente in terribili giochi;
indovinare, dalle umide brume che fluttuano nei suoi occhi,
se il suo cuore covi un’oscura fiamma;

percorrere, a volontà, le sue magnifiche forme;
arrampicarmi sul pendìo delle sue ginocchia enormi,
e qualche volta, l’estate, quando soli malsani

la fanno, stanca, distendersi attraverso la campagna,
dormire buttato all’ombra dei suoi seni,
come un quieto casolare all’ombra d’una montagna.”

Baudelaire, La Gigantessa, in I Fiori del Male
Ebbene sì, Baudelaire e il buon René Magritte (vedere la tela “la gigantessa” in basso) erano preda di MACROGINOFILIA.

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questione di pelo

31 Ottobre 2007 35 commenti

scrive Cesare nel De Bello Gallico (Libro V, XIV)
"Tutti i Britanni, poi, si tingono col guado, che produce un colore turchino, e perciò in battaglia il loro aspetto è ancor più terrificante; portano i capelli lunghi e si radono in ogni parte del corpo, a eccezione della testa e del labbro superiore".
 

Guardavo questo sito artisticamente molto interessante quando mi sono guardato nelle mutande e ho iniziato a riflettere: sono forse un fashion victim? Radersi i genitali è alla moda o è piuttosto, come credo, una questione di civiltà? La storia passata è piena di simpatici aneddoti sulla rasatura pubica a testimoniare che non è un fenomeno sociale recente. Certo, avere la figa in ordine oggi giorno è un concetto di pura estetica modaiola antipelo. Il mio compito sociale è quello invece di diffondere il verbo etico, quello che parte dall’estetica e diventa stile di vita. Radersi il pube è anzitutto, in ambito sessuale, segno di rispetto, per chi te la lecca come il fido lessie o ti sugge con ingordigia il pene. Insomma, massimo rispetto per la categoria degli orsi, ma avere peli pubici fra i denti non fa mai piacere. Il rapporto orale, e non solo, è bello se immerso in una sana umidità, il pelo pubico invece fa poltiglia, si inzuppa di umori, vero e proprio cespuglio. Alla stagnazione umorale è sempre da preferire la fluidità dei liquidi che scivolano e invadono altri pertugi, cadono a terra, creano macchie, lasciano tracce.
Rifiuterei quindi la critica alla rasatura totale del pube come un "anti-aesthetic commentary on the modern pre-pubescent body standard". Il corpo prepubescente comunque è bello, e occorre iniziare ad abbandonare l’isteria da allarme pedofilo appena un corpo è esteticamente assimilabile all’età adolescenziale. Le donne che dipinge Rubens hanno forse peli? Le statue greche e romane hanno pelo? Lo standard estetico moderno non è quindi pre-pubescente, è TORNATO pre-pubescente, e grazie anche alla caccia alle streghe scatenatasi nelle ultimi decadi.
Radersi è prima di tutto un’esperienza autoerotica. Assoluta. E fa parte di un percorso di cura del Sè. Ha sicuramente un lato (storicamente avvallato) pragmatico legato alla pulizia, alla comodità nei rapporti sessuali e, come mi ricordava l’amica FikaSicula, è comodo in occasione dell’introduzione degli assorbenti interni che tendono a tirare i peli circostanti.
In campo religioso il pelo è da sempre segno di distinzione (il Profeta raccomandava di tenere la barba per distinguersi dagli idolatri!), nella sua assenza totale (buddisti – come rinuncia al desiderio estetico) o parziale (tonsura cristiana – come simbolo della porta/occhio divino) o nella sua abbondanza (cristiani ortodossi, indù, musulmani, hassidim e sikh). Pochi forse sapranno che nella ritualità del viaggio alla Mecca, uno dei cinque pilastri dell’Islam, radersi il pube è un precetto comportamentale (sunnah) che fa parte del ghusl, l’abluzione.

L’establishment ha trasformato la depilazione in moda, in fatto estetico svincolato dalla dimensione etica (e c’è sicuramente di mezzo l’industria del belletto che vende e stravende prodotti per la rasatura e rasoi sempre più intelligenti), creando una tassonomia di tipologie di tagli pubici ("a triangolo", "brasiliano", "striscia", "Mohawk", "alla Hitler" [sic!]).
La depilazione ha una sua storia ciclica di apparizione e sparizione, ha seguito periodi di splendore e periodi di oscurità pubica. Se, come pare, le giovani romane si toglievano i peli al loro primo apparire usando la volsella o creme depilatorie (philotrum), si arrivò addirittura alla messa al bando della depilazione per ordine di Caterina de’ Medici e più tardi della regina Vittoria. E se ad esempio negli anni ’60 del ‘900 era tornata in auge la rasatura perfetta, nella decade successiva la crescita libertaria del pelo la farà da padrona. Ed è solo una questione di gusti. Il pelo pubico è come il coccige e l’appendice, un residuo evolutivo, utile solamente, a quanto pare, a trattenere e diffondere gli odori sessuali… ma a poco serve visto che avvicinare il naso al pube altrui è considerato molestia.

 

–> gallerie con pelo

–> gallerie senza pelo 

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robo fetish

17 Ottobre 2007 1 commento

Le persone sagge fuggono l'umano, anche nel sesso. Il grande Emile Cioran, che tesseva l'elogio del mondo minerale e del suo silenzio, sarebbe d'accordo con questo assunto. Di dildonica si è già parlato, toccando però solo tangenzialmente il porno robotico di cui le fucking machines sono solo una pallida metafora nata forse per eludere l'illegalità della vendita di vibratori elettrici in diversi paesi degli Stati Uniti.

robo analFuggire l'umano significa cercare la copula altrove, nell'assolutamente artificiale. La propria mano, pur con guanti in lattice, sarabbe ancora troppo umana e infilare i genitali nel pastamatik non è sempre consigliato. Certo, il robot è prodotto umano, ma a sua volta concepito nell'immaginario come superamento stesso dell'umano. Ubermensch, il robot dovrà riprodursi da sè, questo nel sogno fantastico dei tecno-robo-entusiasti. Si libererà dal lavoro e dal servilismo (dal "robota" che lo ha definito e per cui è stato plasmato) e svilupperà proprie forme riproduttive ed emozionali; blade runner in questo è paradigmatico e non nasconde l'emergenza della dimensione sessuale degli organismi a base di silicio e carbonio. Nel frattempo, ci piace pensare il robot come schiavo sessuale – "I am your automatic lover" diceva lo scatolotto umanoide a Dee D. Jackson ancora nel '78 – ci piace immaginarlo come l'unico partner appagante e ossequioso (attenzione: sfugge al rapporto sado-masochistico perchè è sempre obbediente, non necessita punizione e quindi non legittima il padronato), come nel video Metal Finger in my Body degli Add N to (X).

Il robo-feticismo, che più che feticismo in senso freudiano va considerato come parafilia, ha certamente a che fare con l'agalmatofilia, ma solo in minima parte. E' bene chiarire. Forse gioca questo ruolo soprattutto se vissuto dal lato maschile della barricata pubica e quindi più orientato al momento reificante del rapporto con l'oggetto – per l'appunto – sessuale. Ecco dunque fantasie sessuali dirette alla "cosa" sessuale in cui l'importante è il fatto che sia inanimata (inumidita ma inanimata) o comunque dotata di interruttore che possa essere spento a piacimento, spento al calare dell'erezione, o riposto nell'armadio. Di qui il florilegio di real dolls sempre più real ma rigorosamente senz'anima, di real women sempre più dolls (ma questo va bene) e di electric barbarella varie, con tasto ON/OFF nella schiena per il Plug&Play.
La donna invece si figura il robofeticismo come passione sessuale maggiormente imperniata attorno ad un uso variegato e reiterato e ad un servilismo (dal lato robotico) continuo… una fornifilia d'ammore, un vero e proprio maggiordomo da trombare a necessità, al premere del tasto rosso: quello con scritto FUCK. Si potrebbe quasi tentare un parallelismo etimologico di questo tipo: il robot è per il maschio un dispositivo, qualcosa atto a disporsi e quindi a disposizione, il robot nell'accezione feticistica femminile invece si avvicina di più ad uno strumento, a un qualcosa da istruire (latino instruere), a cui insegnare di volta in volta ciò che deve fare e quindi solo nella peculiarità sessuale è disposto ad essere dispositivo. ON/OFF. L'uomo cerca un dispositivo, è infatti attratto dalle donne disposte e che si dispongono, la donna necessita strumenti per conseguire uno scopo. Comunque: ON/OFF.

 

–> robo erotica

–> porno-robotica 

–> elenco storico delle sex-dolls 

–> kamasutra cyborg  

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estetica teen

9 Ottobre 2007 2 commenti

http://www.willmurai.com/Il genere teen legalmente diffuso è pura finzione, soprattutto dopo la stretta di controlli data negli Stati Uniti all'industria dell'hardcore. La finzione si esprime attraverso l'estetica; e, per chiudere il sillogismo, il genere teen si basa ormai puramente sull'estetica. Mentre a livello maschile la giovinezza è esteticamente espressa dall'assenza di pelo (quindi è anche difficilmente conseguibile), a livello femminile si ricorre ad escamotage più esteriori. Gli ingredienti per fare una teenager sono: codine laterali da scolaretta, magari con annesso completino da liceale, frangetta (e grazie anche alle varie starlette del vintage viviamo una vera e propria renaissance della frangetta bettie-page-style); aggiungete qualche brufolo vero o finto che sia e, soprattutto, l'opera d'arte della giovinezza: l'apparecchio ortodontico. Senza apparecchio ("braces" per chi vuole cercare su gugol) non si è teenager, un vero must del lolitismo.
Un tempo portare l'apparecchio era una vera e propria stigma sociale, ingenerava difetti temporanei di pronuncia e catalizzava nelle proprie circonvoluzioni metalliche tutte le patatine PAI della scuola. Oggi invece è FASHION, è colorato, e anche gli adulti lo indossano. E' così sdoganato che in Tailandia – la notizia è già piuttosto datata – hanno dovuto vietare la vendita di kit fai da te di finti apparecchi.
L'apparecchio, associato all'età in cui generalmente viene applicato, diventa dunque feticcio – e io ci aggiungo pure il ruolo della saliva che cola nell'iconografia braces, attrattore simbolico di sessualità che per iper-moralismo non trova sfogo (perché se il soggetto ha diciottanni ok ma se li compie tra un mese allora sei pedofilo); vera e propria sineddoche a rappresentare la giovinezza, è il residuo resistenziale delle tecnologie correzionali che nel novecento costringevano i bambini in busti, corsetti, raddrizzagambe etc… in nome di un corpo diritto (dal la radice greca orth-), come la morale, come l'ortodossia (l'"opinione retta").

–> beauty&braces 

–> naked wonderland

–> down under darlings

–> xpirin 

 

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somewhere in the middle

4 Ottobre 2007 5 commenti

Somewhere in the middle. Davvero un bel documentario. Titolo quanto mai azzeccato. Girato dal fotografo Rikki Kasso (quello di tokyo undressed, per capirci), commento sonoro dei finlandesi Mossefrog. Il film è uno sguardo di 90 minuti sulle diverse attitudini sessuali distribuite dalla dea Amaterasu alle creature del Sol Levante.
Non ci è dato giudicare, nemmeno capire. Occorre solo guardare, ascoltare ed essere "in fase". Inutile sforzarsi di spiegare razionalmente a tutti i costi l'asphyxiophilia, o il cosplaying. Solo l'empatia per tentare di afferrare un (non)luogo nel mezzo di noi stessi. Qualcosa che bene o male appartiene a tutt*.

 

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i rossi hanno le ore contate

19 Settembre 2007 7 commenti

..ovvero: la dura legge di Mendel.
Dietro il fenomeno red-head si cela forse quella pulsione animalista di salvare razze in via d'estinzione? I capelli rossi, si veda più opportunamente alla voce "rutilismo", rappresentano infatti un carattere recessivo, a differenza delle tette giganti nel sol levante (ma di questo se ne potrà riparlare). Pare che in futuro, concausa i flussi migratori e la mescolanza di genotipi, i rossi saranno debellati, i rossi di capelli quanto meno, agli altri ci pensa la sinistra parlamentare.

Copio e incollo di brutto da molecularlab: "[…] i geni che determinano il biondo e il rosso sono complessi. Uno dei principali geni per il colore dei capelli, per esempio, ha 40
varianti, ma di queste solo sei provocano i capelli rossi. Inoltre si
tratta di un gene recessivo: un bambino, per avere i capelli rossi,
deve ereditare due di questi geni, uno da ogni genitore, e le
possibilità sono piuttosto rare, salvo nelle comunità con degli
antenati comuni, dove sono maggiori le possibilità che la gente abbia
alcuni geni condivisi. Se il bambino avesse un solo gene che determina
i capelli rossi – cosa abbastanza probabile – infatti prevarrebbe
l'altro gene che determina un diverso colore di capelli." 

Un vero peccato.

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porno da turchi

27 Luglio 2007 1 commento

La Turchia è quel mediatore evanescente che collega Oriente ed Occidente. Come paese culturalmente dominato dall’Islam è quindi un’assoluta eccezione. Dai tempi di Atatürk fino alle elezioni di pochi giorni fa la cosiddetta “componente laicista” (di fatto militari nazionalpopulisti d’ispirazione kemalista) ha sempre tentato di zittire politicamente la componente musulmana che permea la società. Lo stato d’eccezione e i contrasti costanti in seno a questa perla mediorientale emergono anche in campo pornografico. Dopo un lungo periodo di produzione di pellicole softcore ispirate – guarda un po’! – alla commedia sexy all’italiana degli anni 70 (si vedano i poster d’annata), nel 1979 viene distribuito il primo porno hardcore targato turchia: Öyle Bir Kadın Ki; nel 1980 il colpo di stato kemalista vieta le pellicole a luci rosse (cioè i laicisti vietano quello che con governi di orientamento islamico era tollerato, dovrebbe far riflettere). La produzione è poi ripresa negli ultimi anni 90 ed è continuata con film prevalentemente di bassa lega e di altrettanto basso budget. Ad oggi la maggior parte delle case di produzione turche, come la Trimax hanno sede in Germania ma continuano a recrutare bellezze anatoliche. (fonte wikipedia)

Le immagini che seguono nella galleria sono momenti della vita erotica turca raccolte dal fotografo Michael J. Berkowitz. Risalgono ai primi anni ’60, rinvenute in una vecchia libreria di Istanbul. Istanbul porn, porn Istanbul! Come cantavano i CCCP.

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