Due grandi strade attraversarono e segnarono la fine degli anni 60, due strade apparentemente inconciliabili: l'incipiente rivoluzione sessuale e il design, ovvero la rivolta sociale contro i costumi pregni di morale borghese e l'espressione assoluta dell'estetica capitalista. Al loro incrocio andò a porsi, come monolitico capitello, l'opera di Allen Jones, scultore britannico, incompreso e osteggiato, soprattutto dal pubblico femminile (e femminista) dell'epoca. Jones prende l'immagine femminile e la reifica, al suo massimo grado. La donna diventa un mobile, nel senso di mobilia, una donna-ikea, diremmo oggi contestualizzandolo. Le sue sculture sono donne-tavolino, donne su cui sedersi, donne porta oggetti. Addirittura l'artista va oltre il concetto di donna intesa come oggetto puramente sessuale e la oggettifica privandola dell'anima. Nella mappatura dei fetish si chiama forniphilia, dall'inglese furniture (mobilia) + philia e rappresenta una ramificazione specifica del bondage su cui non voglio appositamente aprire parentesi che per essere esaustive finirebbero con l'annoiare.
Le opere di Jones ispirarono la scenografia del Korova Milkbar, in Arancia Meccanica; nello psichedelico bar Alex e i suoi drughi si rilassavano in compagnia di un bicchierone di lattepiù stillato dai seni di donne-distributore prima di abbandonarsi ad un po' di sana ultraviolenza. E non è assolutamente un caso che le sculture di Jones si incontrino con le visioni di Kubrick. Il messaggio viaggia sullo stesso binario, l'arte è un doma-sguardo (dompte-regard, Lacan), ti obbliga a guardare – "Tu veux regarder? Eh, bien vois ça"* – e dice: questa è la nostra dimensione di convivenza sociale, quella dell'ultraviolenza quotidiana (che è la stessa che mette in pratica lo Stato), della reificazione della donna (che è la stessa che mette in atto la società tardocapitalista). In questo senso è chiarissima la testimonianza di Marzbow, artista del suono giapponese, in merito al bondage: "Molte persone pensano che il bondage rappresenti la realizzazione dell'ossessione di violenza e stupro sulle donne. La violenza e lo stupro, se consideriamo la polizia, l'esercito, la scuola e altre forme istituzionali di potere, sono attività umane considerate 'normali'. Il bondage invece non è una 'normale' attività. Dev'essere 'anormale' dunque. Il bondage è la parodia e l'anti-forma dell'autorità. La gente non afferra questo punto."**
Insomma il saggio indica la luna ma lo stolto guarda il dito. Dietro ogni rappresentazione estetica feticistica (la prassi può essere un'altra cosa) si cela un messaggio multiforme che viaggia a stretto contatto con l'immersione nella civiltà del consumo e della tecnica. I feticci sono oggetti in cui il valore di scambio non coincide più con il valore d'uso, e vengono ricoperti di libido e fluidi libidici.
Ad un secondo sguardo non si percepisce più nell'opera di Jones una semplice sottomissione del genere femminile. Le donne di Allen Jones sono assolutamente inermi; sono addirittura inorganiche. Questo passaggio all'inorganico, allo scarto non più degno di essere sacrificato, permette tutto. In epoca nazista, ad esempio, molte donne ebree furono obbligate alla prostituzione nei bordelli destinati alle SS (cliccare su CONTINUA in fondo a questo post per leggere un recente articolo a riguardo). L'iniziale dilemma ideologico nazionalsocialista di come usufruire delle puttane messe a disposizione dovendo però evitare i contatti con razze impure fu presto superato: le donne ebree non erano da considerarsi essere umani bensì oggetti. Stücke, pezzi, scriveranno poi sui carri piombati diretti ai campi di sterminio. E' questo il rischio di una società che non considera alla pari tutti gli esseri viventi, sia essa dominata dal nazionalsocialismo o dal capitalismo liberale. La pornografia, nel suo livello più radicale e comunicativo, può essere anche una modalità per far emergere le contraddizioni nei costumi sessuali; comunque, rappresenta l'emergere di un bubbone purulento sulla faccia pulita del benpensante.
In quest'ottica si possono leggere le parole della femminista Luce Irigaray quando dice che "Ci sarebbero molte altre domande da fare ai pornografi. Senza per questo sollevare la questione se si è 'favorevoli' o 'contrari' alle loro pratiche. Dopo tutto, meglio che la sessualità sottesa al nostro ordine sociale si eserciti apertamente, piuttosto che lo comandi dal luogo delle sue rimozioni. Chissà che, a forza d'esibire senza pudori, la fallocrazia ovunque regnante, non diventi possibile un'altra economia sessuale. La pornografia come 'catarsi' del dominio fallico? Come svelamento della soggezione sessuale delle donne?"***
Rendere quindi manifesta ogni contraddizione, interpretando Irigaray, sempre, se vogliamo accettare il fatto che di contraddizione si tratti. Se la pornografia sia da considerarsi espressione della fallocrazia, del dominio maschile (del patriarcato, si diceva), la si mostri, proprio per sottolineare sotto ogni aspetto, anche quello esplicito, il modello opressivo imperante. Se invece, in alternativa, la pornografia è vista come espressione di libertà e motore di liberazione, allora ci sarebbe un motivo ulteriore per liberare la visione dai ceppi della morale theocon.
Il divieto, il rimosso che insiste per tornare a manifestarsi, è l'unico elemento di devianza, e sta sempre dalla parte del potere (anche quando è donna).
* J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1979, p.103
** citato in phinweb.blogspot.com
*** L. Irigaray, Questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano, 1978, p.168
–> approfondimento Allen Jones
–> house of gord
–> forniphilia.info
–> video forniphilia
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