bin laden goes porn!
Nell'ormai sempre più ampio panorama del warporn si afferma sempre con sempre maggior insistenza l'immaginario pornomusulmano. La lettura di questo fenomeno secondo un'ottica post Abu Ghraib diventa quanto mai chiara.
Un articolo indaga con una certa profondità sull'utilizzo propagandistico-politico del medium pornografico nei confronti del mondo musulmano. La nudità a tema arabo viene oggi enfatizzata, ed etichettata ad hoc sottolineandone la componente religiosa, componente che, fino a pochi anni fa non veniva presa in considerazione. Delle regole del mondo musulmano si sa abbastanza, se ne discute e fanno scalpore soprattutto i veli. Dice la Sura 33: "Oh Profeta! Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli, questo sarà più atto a distinguerle dalle altre e a che non vengano offese …" (Cor. sura XXXIII, 59). Le donne fedeli all'islam si velano, per violarle occorre dunque svelarle a chi famigliare non è, mostrarle secondo una sorta di stupro culturale. Lo hijab viene così eroticizzato dallo sguardo bavoso dell'occidente.
Se nei primi anni '90 si nascondevano le radici arabe delle starlet del porno (Tabatha Cash, ad esempio), oggi si punta ad esaltarle al massimo grado. Addirittura è documentato come a partire dal 2000 i produttori porno Israeliani abbiano arruolato manovalanza dai lineamenti arabeggianti per girare film destinati al mercato interno. Nel 2003, SexStyle, la più grande casa di pornoproduzione israeliana, ha rilasciato il primo porno dedicato alla comunità arabo-israeliana. Come riporta Joshua Cohen nell'articolo The Chosen Peephole: Jews can do Porn just as badly as Everyone Else, pubblicato nel luglio 2006, dietro molti siti porno finalizzati alla raccolta di materiale "musulmano", si nasconderebbe la CIA: “angry-white-man-on-Muslim-woman material has proliferated since the first Gulf War.” Perchè? Il motivo è duplice. Da un lato è invalso dal XX secolo l'utilizzo della pornografia come arma psicologica di massa per colpire il nemico. Non a caso si parla di "scontro di civiltà" (tra una civiltà ipocritamente "liberata" nei costumi e la domenica tutti a messa e una costretta al medioevo culturale islamico?) e non a caso in un episodio di documentato di cracking, un sito di hamas è stato farcito di materiale pornografico, come se, ad un tratto, ci ritrovassimo tutti a dare un valore burlesco al porno, se utilizzato per brutalizzare una cultura considerata barbara e nemica.
Dall'altro lato scatta quel meccanisco ben descritto da Slavoj Zizek in cui si obbliga il mondo musulmano, il nostro "altro", a passare attraverso i propri riti brutalizzanti per riuscire a fagocitarlo culturalmente e quindi annichilirlo, soddisfando, nella nostra inconscia economia libidica, la nostra invidia per quel "nonsoche" di godimento che il mondo arabo ci sottrae, l'object petit a di cui parla Lacan. Non a caso il genere porno beurette, l'araba musulmana che scopre il proprio corpo e lo svende all'occidente che in qualche modo la libera dalle costrizioni dei costumi dei padri, si sviluppa nella Francia della polemica sul velo, nella Francia delle banlieu in fiamme, di quella difficile integrazione social-culturale dovuta ad un imperialismo, prima sul suolo d'Africa e poi sulla cultura. Quello che era – ed è – l'Ebreo, che è stato il Sovietico, oggi è rappresentato dall'Arabo, un nemico che ci sottrae del godimento (denaro, donne, lavoro, libertà). In questo senso l'esperienza di Abu Ghraib è una sorta di rito cui "l'altro" di turno viene sottoposto per farlo partecipare all'oscenità della propria società. Il primo gradino è la brutalizzazione animal-sessuale, il secondo sarebbe riempirgli la bocca di hamburger. Questo è il lato osceno della società occidentale.
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