Ho sempre nutrito un’insana passione per il mostracismo, la teratologia, per tutta quella componente politicamente rivoluzionaria contenuta nell’orrido, nell’antiestetico, nel coraggio del mostro ovvero il non conforme ai canoni che decide di mostrarsi. Ho anche sempre creduto che il mostro nel suo manifestarsi si trasformasse nel manifesto etico di tutto quello che l’estetica del “bello e buono” rigetta. Per questo ho sempre apprezzato le fotografie di freaks, nani (adoro i normalissimi nani di Herzog!), i reietti di Diane Arbus e ora scopro il lavoro di Scot Sothern, LOWLIFE. Low life non è l’insieme delle vite di basso profilo (più che low dovrebbe essere lumpen-life) è l’insieme dei corpi modificati dal disagio sociale, da vite difficilmente sopportabili; è l’insieme di corpi che significano, che hanno significato, attraverso i segni indelebili che (sop)portano: le rughe di Anna Magnani, i corpi punk costretti a sanguinare, i segni delle costrizioni, del lavoro… delle vite che scorrono.
Il mostro ha la stessa sfacciataggine dell’opera d’arte che ti obbliga a guardarla e a stupirti di essa, con essa. Suscita reazioni: il moralista è preso da compassione, l’antimoralista da vergogna, la vergogna di aver distolto lo sguardo, di essere inorridito o la vergogna positiva di sentirsi parte di quella società che ha creato le condizioni per l’esistenza del mostro. In fondo le isole sono definite da tutto il mare che si trova loro intorno.
E’ l’estetica dell’ibridazione (penso anche a Crash di Cronemberg) che deve sempre interessare più di ogni altra cosa, è sempre quel fenomeno di sovrappiù rispetto alle due nature di partenza che incorpora a creare la ricchezza di una nuova natura. Transizione. La ricchezza della transizione e della perversione, il mostro esteriore e quello interiore.
… e in tutto questo rientra positivamente la transizione da Lifetype a WordPress, con tutti i suoi segni.
Non avendo molto tempo per post originali copio a man bassa da sexblo.gs, sito un po' patinato ma sempre ricco di novità, che segnala un articolo sul performer Patrick Bucklew, detto The Mangina, l'uomo-vagina; si diverte infatti a farsi titillare la sua protesi di vagina dagli astanti e quindi a rappresentare pubblicamente una situazione intima e per di più artificiosa.
L'artista si reinventa come bambola feticcio in un tripudio di esibizionismo e reificazione masturbatoria.
–> articolo
–> the mangina
Era il 1886 e Richard von Krafft-Ebing dedicava una piccola parte della sua grande opera tassonomica, la Psychopatia Sexualis (di recente ristampa per Neri Pozza), all'autosessualismo, parafilia consistente nell'eccitazione sessuale a partire dalla propria immagine; seguendo esattamente la dinamica meccanica del corto-circuito narcisistico.
Molto più interessante, pur rimanendo nel campo dell'autosessualismo, risulta essere l'autoginefilia, disforia sessuale di recente definizione e ancora molto dibattuta. Catalogata nel 1989 dal sessuologo canadese Ray Blanchard, l'autoginefilia consiste nell'eccitazione sessuale attraverso la percezione di sè come donna, o anche solo all'idea di essere idealmente di sesso femminile… una sorta di "invidia della vagina" autoeccitatoria. Lo psicologismo più becero e positivista lo pone sotto l'etichetta di transessualismo non-omosessuale. La definizione è ovviamente molto dibattuta. Il principale oppositore del modello su cui si basa la definizione di autoginefilia, J. Michael Bailey, psicologo studioso di orientamenti sessuali, critica infatti la veridicità delle testimonianze raccolte nel lavoro di Blanchard opponendo nel suo The Man Who Would be Queen una definizione di transessualismo che scatenò, a sua volta, una tempesta nella comunità trans. Comunque vada, percercepirsi diversamente è un ottimo esercizio creativo.
–> autoginefilia nel Silenzio degli Innocenti
–> eccezionale parodia in Clerks 2
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