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in caso di autocombustione, urinare

27 Dicembre 2006

Di autocombustione si moriva. O meglio, sotto l'etichetta "autocombustione" finivano, dal 1600 fino alla fine dell'800 (e oltre), tutti quei casi di morte per combustione che rimanevano inspiegati, come l'italianissimo caso della Contessa Cornelia Bandi, morta a Verona il 14 Marzo del 1731, divorata dalle fiamme scaturite dalle sue interiora; la fine della Contessa fu un vero e proprio caso di cronaca, addirittura Charles Dickens sembra in seguito averne attinto per descrivere la morte di Krook in Casa Desolata (Bleak House). Si tessevano teorie pseudoscientifiche come l'"effetto candela" in base al quale maggiore è la presenza di grasso nel corpo e maggiori sono le probabilità di morire consumati come una candela da fiamme che si sprigionano dall'interno del corpo.
Ma la tecnologia medica aveva soprattutto una funzione di controllo normativo e indirizzamento morale all'interno della società minimamente scolarizzata del tempo. Facile capire dunque perchè si indicò nell'alcolismo e quindi nella presenza di  alcohol nel corpo una delle cause maggiori di morte per fiamme, chiudendo invece entrambi gli occhi di fronte alla maggiore probabilità di incidenti cui un ubriaco va incontro – anche col fuoco, ovviamente molto più utilizzato all'epoca.
Una delle cose di cui si era certi era l'impossibilità di estinguere le fiamme per mezzo della semplice acqua, il che determinò lo sbizzarrirsi delle più strane fantasie popolari. Di storia dell'autocombustione parla Jan Bondeson, medico britannico cultore di freaks e stranezze mediche, in un libro* che ho trovato per caso in una vecchia libreria di Londra; Bondeson basa le sue ricerche su testi d'epoca, soprattutto giornali e, ovviamente, su materiale medico. Traduco un brano davvero meritevole che unisce alla bizzarria dell'evento pseudo-medico dell'autocombustione il fascino indiscreto dell'urinofilia (su cui si tornerà):

"In Germania la gente comune aveva una grande fiducia nelle proprietà del letame liquido come sistema di prevenzione contro l'autocombustione. Quando un contadino sempliciotto o l'idiota del villaggio si ritenevano a rischio di bruciare spontaneamente dopo una bella bisboccia, ingurgitavano una discreta quantità di letame liquido e acqua fangosa. Si dice che questo assurdo rimedio sia persino apparso nel serio lavoro scientifico sull'abuso di alcohol condotto dal dott. Carl Rösch: Der Missbrauch geistiger Geltränke (1838). Ma la medicina popolare scandinava prescriveva una sostanza addirittura più improbabile per estinguere le fiamme spontanee. Il folklore norvegese e svedese raccomandavano infatti di gettare nella bocca in fiamme dell'ubriacone urina umana, preferibilmente evacuata di fresco da una donna. Un breve fatto accaduto nel XIX secolo in Westgothia descrive  l'ardente destino di un beone seriale di nome Zakris, che improvvisamente prese fuoco spontaneamente: 'Un giorno Zakris di Hester iniziò a bruciare di una fiamma blu mentre si trovava a letto. Sua moglie si sedette a cavalcioni sul viso di lui ed estinse le fiamme urinando direttamente nella bocca del marito; solo una donna avrebbe potuto farlo [sic!]. Dopo quanto accaduto, egli non bevve più acquavite.'"

*Jan Bondeson, A cabinet of Medical Curiosities, I.B. Tauris Publishers, London, 1997, p.7

glass of pee

–> celebri casi di autocombustione: 1, 2 

–> urinoterapia 

–> approfondimento sull'urinofilia 

–> pee gallery 

  1. 27 Dicembre 2006 a 15:35 | #1

    L’urina di donna (specialmente se gravida) nella tradizione ha moltissime altre qualita’ pseudo-curative e magiche. Consiglio una ricerca sui motori di ricerca in merito 😀

  2. 27 Marzo 2007 a 16:49 | #2

    Questa faccenda delle presunti autocombustionie dei “rimedi” adottati non la conoscevo.

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