Stalin, la Nike e il burattinaio
In un’edizione del 1939 di Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, Giuseppe Stalin appuntò in matita rossa:
1) Debolezza, 2) Indolenza, 3) Stupidità. Sono le uniche cose che si possono definire vizi. Tutto il resto, in assenza dei summenzionati, è senza dubbio virtù. NB! Se un uomo è: 1) forte (spiritualmente), 2) attivo, 3) intelligente (o capace), allora è buono a prescindere da qualsiasi ‘vizio’! 1 e 3 uguale a 2.*
"’bello’ non ti farà vincere nessuna partita. Mai". Questi sono due grandiosi esempi di etica amorale. Sintetizzano, forse lo spot della Nike ancor meglio delle note di Stalin (anticipatrici della filosofia nike), la differenza tra etica e morale.
Segue tediosa dissertazione bignami-filosofica.
Riducendo all’osso: la morale ha a che fare con l’idea di Bello e quindi di Buono, nello spot in spagnolo anziché ‘bello’ dicono ‘bien’; l’etica ha che fare con l’idea di Giusto (per me o per il mio gruppo), quindi del Vero, quindi dell’Ideologia che supporta il mio agire. L’etica è sicuramente relativa, mentre la morale pretende di essere assoluta.
Lo voglio dimostrare con un semplice passaggio. Prendiamo il primo libro della Genesi, Dio crea i vari elementi e… vede che quanto ha fatto è buono. Attenzione: buono, non giusto. Per questo esiste il male nel mondo, perché Dio non ha generato il mondo secondo un criterio di giustizia quanto di bontà e bellezza (esattamente il kalos kai agathos greco). Occorrerà aspettare il genio di San Paolo, il vero ideologo della chiesa. Nella sua bellissima disquisizione sul rapporto tra Legge e peccato (Romani 7), capisce che non può fare a meno della categoria di Giusto, perché il comandamento, la legge di Dio, non può essere buona, deve essere (anche) giusta: "Cosí, la legge è certamente santa, e il comandamento santo, giusto e buono." (Romani 7, 12). Questa è una rivoluzione copernicana per il cattolicesimo. Formalizza la distinzione tra morale ed etica.
"La morale ha a che vedere con la simmetria delle mie relazioni con altri essere umani; la sua regola di base è ‘non fare a me ciò che non vuoi venga fatto a te’; l’etica, al contrario, affronta la mia incoerenza rispetto a me stesso, la mia fedeltà ai miei desideri."**
Franck Ribery è uno che lo chiamano scarface, viste le sue visibili cicatrici, è bruttino forte e si è convertito all’Islam. Non è bello… e per di più spaventa i cucciolotti di cervo. "Bu!". Non ha morale. Ma è un personaggio etico. Questo gli dà la possibilità di vincere e se non vincerà sarà comunque nel giusto.
L’agire etico si muove sempre oltre le categorie di bene e male, è già aldilà di esse. La persona etica è capace anche di agire il male. La persona morale invece non deve. L’agire per il bene, inteso come dovere, è costrizione. Bataille, nella Francia occupata dai nazisti, scrive: "Io personalmente, senza farmi illusioni sul peso del mio atteggiamento, sento di oppormi e mi oppongo a ogni forma di costrizione: non per questo rinuncio a designare il male come oggetto di una ricerca morale estrema. Perché il male è il contrario della costrizione, la quale in teoria viene esercitata in vista di un bene. Il male non è sicuramente ciò che una ipocrita serie di malintesi ha voluto farne: in fondo, non è forse libertà concreta, la torbida violazione di un tabù?"***
Prendiamo Berlusconi e la sua corte, ad esempio. Il suo non è un agire morale. Chissenefrega, aggiungo. E’ questo, drammaticamente, che scandalizza gli italiani stupiti del giro di denaro-cocaina-prostituzione che popola i palazzi del potere. Il problema però è altrove: Berlusconi ha una sua etica amorale, quella dell’autocrate, al di sopra della legge. Il suo comportamento è "corretto", è etico, coerente con i suoi desideri e con la figura che gli si è permesso di incarnare; agisce nel giusto, dove giusto è la parte più affine alla prassi della sua ideologia, sua e dei suoi accoliti e di chi vorre essere al loro posto.
Se, sempre bignamizzando il discorso, riducessimo tutto a due categorie secentesche, il popolo e il tiranno, occorrerebbe concludere che Berlusconi si comporta eticamente da autocrate e ricordare al "popolo" che tyrannum licet adulari, tyrannum licet decipere, tyrannum licet occidere. Quello che manca cioè, non è la moralità di chi ci governa (affanculo la questione morale!) è la giustizia etica di chi viene governato che manca! Questa è la garanzia che è venuta meno nel secondo dopoguerra e che ha costruito la figura Berlusconi, Leviatano nato dal fallimento del ’68.
Dunque il ‘bello’, le anime belle, il buono, le mani pulite, che la sinistra "travagliata" oggi ricerca non fa vincere nessuna partita. Serve lo sporco, il coraggio e la libertà di agire il male per il giusto. Serve l’abisso che permetta l’esplosione di nuove potenzialità, di un vero e proprio passaggio all’atto. Ma nella repubblica delle veline siamo tutti imbambolati davanti al burattinaio e alle sue belle marionette.
Io, per me, sto con Ribery. BU!
P.S.: lo so, col porno ero più simpatico
* S. Zizek, In difesa delle cause perse, Ponte alle grazie, Milano, 2009, p.279
** Ibidem
*** G. Bataille, Su Nietzsche, SE, Milano, 1994, p.21
Se lo sai già, non te lo ripeto 😛
angoscia!
ma la giustizia etica dove si nasconde? è contagiosa? chi e quanti, oggi, possono fare “BU!”?
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caz’
e adesso chi glielo dice a Butler?
assumendo che abbia capito tutto il resto… mi spiegheresti il concetto di “giustizia etica”:
>
la cultura cattolica ci ha abituato a non essere responsabili di fronte ai nostri simili… è Dio che ci giudicherà, sua la giustizia, sua quella giustizia morale che scaturisce dall’agire secondo cià che è BUONO.
Giustizia etica significa invece agire la giustizia anche quando non ha a che fare con il buono.
La violenza non è buona, può essere giusta però; ad esempio nella reazione ad un sopruso.
Uccidere non è buono, può essere giusto però, nel momento in cui ripristina un diritto calpestato. Si veda la Resistenza, o altre situazioni storiche (cui hanno peraltro partecipato cattolici).
Non può esistere una definizione statica, univoca, o una formulazione scientifica di questo concetto. Occorre però essere in grado di andare oltre la morale. Questo sì, avendo come orizzonte il giudizio dell’uomo, non quello di dio.
E’ probabile che mi sbagli, ma secondo me qui si rischia il farnetico più totale. I concetti sono affascinanti e ben scritti, ma io ci vedo un grosso rischio e devo scriverlo esplicitamente. Non mi interesso di cultura cattolica: io parlo di cultura laica. Laicamente (umanisticamente forse, forse potrei scrivere illuministicamente, non so), ognugno/a è resposabile di fronte a se stesso/a, prima che di fronte ai propri simili (dio, se esiste, spero per lui/lei che abbia di meglio a cui pensare). Quando scrivi di andare oltre la morale, per me significa andare oltre il giudizio della propria coscienza. E cosa può sostituire la coscienza del singolo? Non so, l’unica cosa che mi viene in mente è un’ideologia, un credo, una fede. Si aderisce ad una ideologia e la si segue. In virtù di essa si può giustificare qualsiasi azione, e chi la compie è deresponsabilizzato poichè l’idelogia lo giustifica, essa è superiore alla coscienza, alla morale appunto. Per me questo è puro e semplice fascismo, facciamo attenzione.
prendiamo altri due esempi, visto che il mio pippone è sicuramente troppo astratto:
1 – Un medico obiettore, anzi un medico di destra con forti pregiudizi nei confronti degli immigrati: la sua deontologia (cioé l’etica professionale) gli impone di curare chicchessia. Cioè è un’ingiunzione che viene da qualcosa che è Altro (chiamala ideologia, fede, credenza, professionalità…). La sua morale, il suo dovere di fronte alla attuale legge invece gli fa sentire pure il dovere di denunciare l’immigrato clandestino alle autorità competenti. Egli ritiene che tutti gli esseri vadano curati ma la sua coscienza gli dice che deve denunciarlo alla legge. HA SALTATO IL VINCOLO COL PROSSIMO.
2 – Il processo ad Adolf Eichmann e vari altri nazisti. La linea di divesa è stata che essi agivano per Dovere a degli ordini. Addirittura Eichmann citò, a torto, la morale kantiana del dovere come tentativo di difesa. La difesa dei nazisti è stata proprio la propria coscienza. HANNO SALTATO IL VINCOLO COL PROSSIMO.
La stessa coscienza che di cui si riempiono la bocca i preti, perché è fare i conti con se stessi, non con gli altri, o il grande Altro di un’ideologia. Quando sento parlare di coscienza mi viene l’herpes.
Sono in totale disaccordo con la tua ultima frase. Non si può tacciare qualsiasi ideologia di possedere una struttura fascista. Il fascismo è altra cosa… e spesso fa appello alla coscienza.
Forse stiamo dando significati diversi ad uguali parole. Ma forse non c’è solo questo.
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Per me, quella che si chiama “la morale dominante”, quella del prete per esempio, è il prodotto di una ideologia dominante. Come il moralismo della “sinistra” “travagliata” di cui scrivevi.
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Torniamo agli esempi.
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Il tal medico, in quanto già razzista di suo, trova oggi in una legge razzista la possibilità di fare ciò che egli ha sempre ritenuto “giusto” fare. Adesso può farlo essendo sicuro che non sarà punito (dal potere giudiziario), ma anzi
riceverà encomi e farà carriera. Se vogliamo ammettere che l’imperativo morale sia il “non fare agli altri quello che..”, il medico in questione non lo segue. Nel fare ciò trova la sua “giustificazione” nell’ideologia razzista che gli dice che l’immigrato non appartiene alla categoria degli esseri umani. Questo lo fa sentire “con la coscienza a posto”. Il tal medico è sordo a qualsiasi argomento, prova o dimostrazione del fatto che l’immigrato è un essere umano. In realtà questo atteggiamento “ideologico” è una copertura, il medico sta solo
difendendo degli interessi “di classe”. Quindi, magari involontariamente, sta perseguendo un utile (quindi il suo agire riguarda la sfera politica). Persegue l’utile di una classe sociale che ha dei privilegi, li vuole mantenere ed
accrescere. L’agire politico, che riguarda “l’utilità” è necessariamente di parte, e come
tale è soggetto a critica, a scontro sociale. Ma se ricoperto con “l’oro” dell’ideologia, fa apparire se stesso come legge universale.
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Diverso invece sarebbe l’atteggiamento di un medico che non è razzista, ma segue la legge alla lettera, per opportunità e/o per paura. Ancora
una volta si tratta di una scelta “politica”, poichè segue l’utilità del fare carriera, di non avere problemi giudiziari. Questo secondo medico è cosciente di fare il male, ma lo fa per perseguire il proprio, personale, utile.
Il suo è un atteggiamento che è moralmente deprecabile, ma almeno è meno ipocrita del primo.
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I nazisti, durante il processo, per salvare la pellaccia usano tutti gli argomenti che riescono a rabattare per “giustificare” il proprio operato. Da quello che hai scritto, mi sembra però che essi ammettano di aver operato “il male”, ma non se ne assumono la responsabilità, in quanto essi avrebbero obbedito a degli ordini (dei superiori, di Hitler, alla fine sono sempre delle persone a dare ordini). Ma da un punto di vista morale, se essi sapevano di fare il male, avevano il “dovere” di non farlo. Quindi nella loro difesa, essi ammettono di aver abdicato alla loro coscienza, per seguire una ideologia
dell’obbedienza. Per loro obbedire era sempre e comunque “giusto”, indipendentemente dal contenuto dell’ordine.
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In una guerra, anche in una guerra di resistenza, si può attuare coscientemente e deliberatamente il male. Lo si può fare perchè ciò è utile per raggiungere uno scopo, quindi per un motivo politico. A questo punto si può discutere se il
motivo politico “valesse la pena”. E questa è una discussione laica, in cui diversi punti di vista, esseri umani, classi sociali, possono scontrarsi,
con svariate armi. Ma nel momento in cui si dice che il male è stato fatto perchè era “giusto” allora ci si avvia verso la “guerra santa”. In una guerra santa il singolo è esautorato dal porsi la domanda se “ne è valsa la pena”, poichè la risposta, affermativa, è già contenuta nei principi primi dell’ideologia che definisce la guerra “giusta”. In altri termini, la guerra si fa sempre per motivi “politici”, per realizzare gli interessi di un gruppo, di una classe sociale. L’ideologia plasma le menti di chi la guerra la combatterà, affinchè essi non si pongano
interrogativi legittimi sul senso di tale guerra.
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Ma, in tutto questo.. dov’è la libertà? Siamo liberi oppure no? Se non siamo liberi ma determinati dalle condizioni sociali, storiche e materiali, allora inutile star qui a spremerci le meningi e perder tempo. Quindi assumiamo che l’essere umano sia libero, in qualche modo e in qualche misura.
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La sfera “politica” non presuppone la libertà: dato un obbiettivo da raggiungere, ciò che è utile/dannoso/inutile per raggiungerlo è un fatto “matematico”, regolato da un procedimento causale. Dato un obiettivo da raggiunger in determinate condizioni, un algoritmo può determinare le scelte politicamente “migliori”.
Quindi l’individuo che sceglie per l’utile, può sbagliare solo per ignoranza, per una erronea valutazione delle connessioni causali.
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Ciò che è giusto/ingiusto lo determina l’ideologia, quindi lo si deduce da principi primi. Se aderisco (consapevolmente o inconsapevolmente) ad un’ideologia, ad una setta, ad una religione, non avrò più dubbi su cosa è “giusto” fare. Il giusto viene dettato dall’esterno, da qualcuno, dagli “ideologi”, a “copertura” di determinati interessi.
L’errore nasce solo dalla mancanza della forza, dell’impegno, necessari per attuare ciò che già si sa essere “il giusto”.
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Quindi in entrambi i casi, tutto è pienamente razionale, logicamente determinato. Chi non segue la logica dell’utile o del “giusto” è un debole, ed è destinato a soccombere. Come una macchina difettosa che non fa bene il lavoro per cui è stata progettata. Così ci riduciamo a macchine, che hanno un scopo da realizzare e se non ci riescono sono degni al più di essere compatiti.
(Vedi per esempio la chiesa cattolica che, nei migliori dei casi, vede gli omosessuali come dei “malati”.)
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La scelta “morale” consiste nel non sottostare
all’imposizione di ciò che è utile e di ciò che è “giusto”, nel rivendicare libertà e autonomia nel decidere che cosa e come agire. L’unica guida per non sottostare alle imposizioni esterne viene dall’interno ed è quella che chiamavo coscienza. Certo, noi viviamo in un contesto, fisico e
sociale, e quindi la nostra stessa coscienza è condizionata, da ciò che riteniamo essere utile e da ciò che ci è stato insegnato essere “giusto”. L’individuo si trova a districarsi tra costrizioni e pregiudizi, ma è nella lotta che si esprime la sua libertà e personalità. Se abdica alla lotta e si rifugia in una idelogia che gli detta, senza beneficio del dubbio, ciò che è giusto fare.. allora la libertà è persa sicuramente.
Interessante discorso, ma sono comunque inorridito dal fatto che questa lezione ce la faccia la pubblicità