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la fine della pornofilia hippie

10 Novembre 2008

Incollo, per cortese concessione dell’autore, Carlo Mazza Galanti, un interessante articolo apparso su Alias l’8 novembre 2008.

Una nota agenzia di monitoraggio del web ha recentemente registrato il sorpasso del porno da parte del "social network". Piuttosto che rassicurare i benpensanti il dato potrebbe far riflettere i più disincantati: l’insicurezza costitutiva della società post-tradizionale provoca ossessione sessuale allo stesso tempo che relazionalità compulsiva e ipermediatizzata. Il soggetto moderno descritto dai sociologi, incapace di sostenere il "progetto autonomistico e riflessivo dell’io" (Giddens), naviga tra la rete dei simulacri relazionali ed il luminoso ed effimero appagamento del pornoerotismo. Alla ciclicità meccanica delle sequenze hard (ormai private dal web di qualsiasi contenuto narrativo e simbolico: pura coazione a ripetere visiva) si accompagna la connettività come ideologia postmoderna dello stare insieme stando soli. Così potrebbero ragionare i più pessimisti. Di certo, l’immagine della sessualità e della pornografia che emerge in molta della letteratura più recente non si discosta troppo da questa cupa prospettiva. Sugli scaffali delle librerie italiane allignano in questi giorni alcuni romanzi che affrontano il tema. In nessuno di questi pare esprimersi una considerazione della pornografia orientata nel senso della liberazione sessuale, del sesso felicemente trasgressivo, della riappropriazione del corpo e del godimento. Nessuna reminiscenza pre o post-sessantottina sostiene un immaginario pornografico apparentemente spogliato dei suoi trascorsi contenuti rivoluzionari, assai distante dalla pornofilia hippie degli anni ’70 e da qualsiasi forma di progettualità sessuopolitica. Neppure sembra affacciarsi in queste narrazioni il paradigma nichilistico dell’erotismo sadiano-batailliano. La negatività del sesso demoniaco, maledetto, è neutralizzata dalla sua iscrizione nelle dinamiche dello shopping erotico e dalla sempre più dettagliata e orientata specificazione dei target del mercato pornografico, capace ormai di farsi carico di ogni perversione. La mercificazione del sesso ha scavalcato le preoccupazioni femministe per realizzarsi infine nell’inquieto appiattimento edonistico di cui parlava, più di trent’anni fa, Pasolini?

In Alma mater (Manifestolibri, 254 pagg, E 18), esordio narrativo di Alessandro dal Lago, un giovane laureato in Storia del cinema, nella lunga attesa di un concorso non bloccato, si ritrova quasi per caso a recitare in film a luci rosse. Tra un set e l’altro il giovane studioso/pornoattore elabora un progetto di ricerca che potrebbe efficacemente riassumere la posizione di molti scrittori contemporanei di fronte alla pornografia. La funzione del porno sarebbe "non la soddisfazione del desiderio, anche a livello immaginario, ma la sua sublimazione seriale, anzi il suo rinvio a una catena infinita. In un certo senso, il cinema porno è il trionfo di un’eternità indifferente. Pur essendo apparentemente immorale e antisociale, la pornografia esprime perfettamente l’intimazione del capitalismo a consumare senza soddisfazione, finchè morte non sopravvenga". Gangbang (Mondadori, pagg 208, E16, trad. di Matteo Colombo) l’ultimo romanzo di Chuck Palahniuk, svolge l’illustrazione concreta di un simile presupposto filosofico-politico. Sebbene lascino molto a desiderare la qualità della scrittura e la forzosa costruzione dell’intrigo (con improbabili agnizioni famigliari e un grandguignolesco quanto inconsistente finale ad effetto) l’intenzione migliore dell’autore americano è quella di mostrare nel dettaglio, con effetti volutamente disturbanti, la corruzione fisica ed emotiva dei protagonisti di un’orgia da record dei primati. Cassie Wright, pronodiva stagionata, vuole coronare la sua carriera concedendosi a 600 uomini in una sola "seduta". Il romanzo, attraverso una serie alternata di focalizzazioni su alcuni dei protagonisti dell’impresa, segue passo a passo la lunga giornata di sesso. Le riflessioni teoriche sul porno sono affidate a Sheila, la coordinatrice della gangbang. È lei ad illustrare la funzione strutturale del porno nella società dei consumi di massa, arrivando a definire in maniera quasi allucinata il cinema "per soli adulti" come un vero e proprio motore del progresso: "Questo branco di segaioli. Questi maniaci della pippa. Sono loro che hanno ucciso il betamax Sony. Che hanno sancito il trionfo del VHS sulla tecnologia beta. Che si sono portati a casa la prima, costosa generazione di Internet. Che hanno reso possibile l’idea stessa del web. Sono i loro soldi malinconici ad aver pagato per i server. Sono stati i loro acquisti di pornografia on line a far nascere le tecnologie di compravendita, tutti i firewall e i sistemi di sicurezza che permettono a eBay e Amazon di esistere. (…) Loro e il loro patologico isolamento. La loro incapacità di costruire legami emotivi".

Apparentemente più pornofilo è il romanzo d’esordio di un giovane scrittore norvegese: Matias Faldbakken. The Cocka Hola Company (Mondadori, trad. di Margherita Podestà, 342 pagg, 17 E) narra le roccambolesche vicissitudini di una fantomatica società produttrice di porno, la Desirevolution. Con piglio borisvianesco ed una scrittura divertente e divagante, Faldbakken ricostruisce l’operato della società e di Simpel, suo leader carismatico. Lo stile della Desirevolution è intriso di erotismo vitale e spensierato (il clima umoristico del set fa pensare a Blu Movie, il romanzo sul mondo del porno di Terry Southern, pubblicato in Italia solo qualche anno fa da Marcos y Marcos), ma la produzione dei film costituisce soltanto il pretesto finanziario della sua attività. "Non c’è nessuna forma di lotta né di opposizione nel fare qualcosa che interessa a tutti", sostiene Simpel. I soldi del porno serviranno a sostenere progetti terroristico-situazionisti i cui titoli dovrebbero bastare a dare un’idea dei contenuti: Atti criminali convinti I-X, Absolut evil, Mangia ancora un po’ ciccione, Sfottere gli innocenti, Inferno nel vicinato, La tourettes in ascensore, eccetera. La funzione meramente strumentale del porno e il cinismo comicamente caricaturale, distruttivo e totalmente anarchico delle azioni di Simpel e amici, deviano la sessualità spinta del libro dal libertinismo politico e dalla militanza pornofila. Anche la violenta intemperanza misantropica del protagonista verrà, nel finale, assimilata dal mai satollo e mai disturbato apparato digerente della società dello spettacolo.
Il libro che meglio di tutti si immerge nel delirio sessuale e che più vivacemente ne descrive la complicità coi meccanismi del consumo e del liberismo economico-culturale, è un altro esordio: quello del ventottenne mancuniano Joe Stretch, un autore da seguire con attenzione, perché davvero da tempo non capitava di leggere un giovane scrittore così intimamente tormentato, così potentemente espressivo e fornito di una così affilata penetrazione critica. Friction (Feltrinelli, trad. Laura Nolian, 293 pagg, 17 E), questo il titolo del bel romanzo di Stretch, raccoglie in una cornice fanta-politica un groviglio di destini tragicamente esemplari. Uno stile elaborato ed ispirato, a tratti quasi poetico, a tratti amaramente sarcastico, una parola violentemente istintiva e allo stesso tempo decisamente letteraria, sostengono un intreccio altrettanto complesso ed orginale, il cui climax è rappresentato dalla pratica inquietante, descritta verso la fine del libro, dell’ "aborto ricreativo". Il pessimismo di Stretch non lascia molta speranza alla "civiltà del porno": l’oltranzismo sessuale dei protagonisti va incontro all’annichilimento totale: "Non avremmo dovuto grattare il cielo come tanti stronzi. Perché adesso, forse, questo nostro pretenzioso stile di vita sta per essere sostituito da qualcos’altro. Forse dal niente. Un niente assoluto, salvo una lascivia assurda, ticchettante, pulsante, e un patetico assortimento di strategie respiratorie".
Se la visione di Stretch e dei precedenti romanzi può odorare di sessuofobia, ci si permetta di lasciare l’ultima parola ad un pornofilo dichiarato come Ando Gilardi, che nella sua preziosa (iconograficamente e storiograficamente parlando) Storia della fotografia pornografica (Bruno Mondadori, 2002) non ha certo risparmiato le lodi alla bellezza e all’irriducibilità dell’eros e della sua rappresentazione voyeristica. Pure Gilardi tuttavia, nelle ultime pagine del libro, mette in guardia il lettore di fronte all’attuale "liquidazione generale del linguaggio" e al conseguente depotenziamento della pornografia "diffusa e diluita nel costume". Nella sessualità sdoganata e scatenata, una nota stonata si accompagna all’euforia del pornografo finalmente vendicato: "Così moriremo affogando, scusate, nella merda di errori spaventosi nati da precedenti errori mostruosi, ma con in alto la visione di un osceno esagerato".

Carlo Mazza Galanti

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